venerdì 24 febbraio 2017

Bücher: Born to run

"C'è qualcosa di strano nel raccontarsi per iscritto. A conti fatti, non è che una storia, una storia che ho composto a partire dagli episodi della mia vita. Non vi ho detto «tutto» di me. La discrezione e il rispetto per la sensibilità degli altri me lo impediscono. Tuttavia, c'è una promessa che l'autore di un libro come questo fa al lettore: aprirgli la propria mente."
Bruce Springsteen, Born to run


Amate The Boss? E allora fiondatevi in libreria ad acquistare Born to run. Non il famoso disco che diede il la alla pluridecennale carriera di Bruce Springsteen (quello sono sicuro che ce l'hanno tutti i suoi fan), ma l'autobiografia del rocker del New Jersey.
È un libro prezioso, per chi vuole conoscere qualcosa in più di Bruce Springsteen. È un libro sincero, in cui si apre al lettore senza nascondersi più di tanto dietro al volto che riempie gli stadi da oltre quarant'anni. È un libro che narra la vita di un uomo normale, di un uomo ricco di talento, ma anche con i suoi problemi, che spiega con schiettezza, senza filtri. A cominciare dal rapporto con il padre, tanto tormentato quanto approfondito nelle pagine di Born to run, per passare dunque al legame con l'alcol e agli antidepressivi. Insomma, Springsteen racconta molto di ciò che le sue canzoni non dicono. Ma proprio come le sue canzoni, lo fa in modo diretto, in parole che escono dal cuore.
Born to run è anche il modo per scoprire l'origine di alcune canzoni: The river racconta l'adolescenza della sorella, Born in the USA è l'omaggio ai tanti amici partiti per il Vietnam e mai più tornati, Bobby Jean celebra l'amicizia con il suo chitarrista Little Steven Steve Van Zandt, Dancing in the dark è il sentimento che esce dopo le dure sessioni di registrazione in studio, My city of ruins è dedicato alla sua città di origine, Born to run è... No, questo non lo dico, il capitolo dedicato esclusivamente a questa canzone è uno dei intensi ed emozionanti della sua autobiografia.
Molto spazio è dedicato ovviamente alla sua gioventù (durante il quale confessa i suoi punti di riferimento: Dylan, Presley, Beatles E Stones) e agli inizi della carriera, un caposaldo del libro ma della sua vita stessa, perché grazie alla gavetta Springsteen si dimostrerà sempre capace di non innalzarsi sul piedistallo del successo ma di rimanere sempre con i piedi piantati per terra, alla ricerca costante di realizzare le sue idee musicali e i suoi desideri.
Bruce Springsteen racconta invece la maturità come un bimbo ultrasessantenne, in grado di stupirsi o di commuoversi di fronte a piccoli grandi eventi: la nascita del primo figlio, lo spettacolo durante il Superbowl, il duetto live con i Rolling Stones, la morte del suo amico sassofonista Big Man Clarence Clemons.
Avvertenza finale, prima di dare spazio a qualche passo tratto da Born to run: leggetelo con la possibilità di vedere qualche video su Youtube o di ascoltare qualche sua canzone. L'effetto sarà ben diverso...
A presto!
Stefano

Giudizio: 9/10 

Le frasi più belle e significative tratte da Born to run (a mio parere)

[sulla registrazione di Born in the USA] La casa discografica voleva più voce, così ci ritrovammo una sera in uno studio a New York, ma bastò mezz'ora per renderci conto che l'impresa era impossibile. Non saremmo mai riusciti non dico a riprodurre quel sound, ma nemmeno ad avvicinarci a quella compattezza musicale, al furioso muro di chitarre, tastiere e batteria. Per rispetto verso i pezzi grossi ascoltammo alcuni degli altri take che avevamo registrato: in alcuni la voce era più alta, però mancava... la magia. Il cantante doveva dare l'impressione di mettercela tutta per sovrastare il frastuono di un mondo che se ne fregava. No: c'era una sola versione capace di far rombare il soggiorno come il motore di un Boeing 747, di tenere in bilico l'universo per un breve istante. Twang, esplode l'accordo cosmico, e poi via. Ci avevamo preso e ci eravamo riusciti una volta sola... ma una volta è sufficiente.

Cominciai dal riff di chitarra. Se trovi un riff che funziona, sei sulla buona strada.

[su "Big Man" Clarence Clemons] Insieme, raccontavamo una storia che trascendeva quelle delle mie canzoni. Una storia sulle possibilità dell'amicizia, una storia che Clarence portava nel cuore. Anzi, la portavamo entrambi. Una storia in cui Scooter e Big Man spaccano la città in due. Una storia in cui siamo invincibili e ricostruiamo la città, trasformandola in un posto nel quale la nostra amicizia smette di essere un'anomalia. Ecco cosa mi sarebbe mancato: la possibilità di stare di fianco a lui per rinnovare quella promessa, sera dopo sera. Ecco qual era la nostra storia.

[sull'esibizione al Superbowl 2009] «Ladies and gentlemen, per i prossimi dodici minuti porteremo la virtuosa e invincibile potenza della E Street Band nelle vostre splendide case. Giù le mani dal guacamole, posate il pollo fritto e correte ad alzare il volume AL MASSIMO!» Ovviamente c'è UNA SOLA COSA che voglio sapere: «SIETE VIVI?!».

Squilla il telefono. È Mick Jagger. Tanti anni fa sognavo di ricevere una telefonata del genere, però no, gli Stones non hanno bisogno di un frontman - un tempo - foruncoloso per il prossimo concerto. MA CI MANCA POCO! Suonano nel New Jersey, a Newark, e hanno pensato di coinvolgere un chitarrista-cantante in Tumbling Dice per far scuotere le chiappe al pubblico.

[sugli avvenimenti dell'11 settembre 2001] «Bruce, abbiamo bisogno di te!»: quel tipo mi chiedeva troppo, però lo capivo, perché anch'io avevo bisogno di qualcosa, di qualcuno. Quel terribile giorno, tornato a casa dai miei figli, da mia moglie, dalla mia gente e da voi, ancora una volta avevo fatto ricorso all'unico linguaggio con il quale abbia mai saputo scacciare le paure della notte, reali o immaginarie che fossero. Non potevo fare altro.

Io avevo la mia chitarra nuova, un ibrido anni Cinquanta composto dal corpo di una Telecaster e dal manico di una Esquire che avevo comprato per centottantacinque dollari al Belmar di Phil Petillo. Con il suo corpo di legno rovinato come un pezzo di croce, era lo strumento che avrei suonato per i successivi quarant'anni: l'affare migliore della mia vita.

Il mio manager era un genio. Se all'epoca due nullità riuscivano a entrare nell'ufficio newyorkese di una figura storica del calibro di John Hammond, figuratevi quanto è cambiato il settore discografico.

Noi italiani tiriamo dritto fino allo stremo delle forze, teniamo duro finché non cedono le ossa, non molliamo la presa finché i muscoli resistono, balliamo urliamo e ridiamo finché non ce la facciamo più, fino alla fine.

[sulla registrazione di Born in the USA] One, two, three, four... Avevo il testo, un titolo fantastico, due accordi, un riff di sintetizzatore, ma nessun vero arrangiamento. Era il secondo take. Un muro del suono si riversò nelle mie cuffie. Inizia a cantare. La band mi guardò attentamente, aspettandosi indicazioni per un arrangiamento improvvisato, e Max Weinberg si esibì nella performance di batteria più straordinaria della sua carriera. Quattro minuti e trentanove secondi dopo, avevamo inciso Born in the USA.

Per quanto assurdo possa sembrare, oggi ho un rapporto «personale» con Gesù Cristo: rimane uno dei miei padri, ma - come è successo con il mio vero papà - ho smesso di credere alle sue facoltà divine. Credo profondamente nel suo amore, nella sua capacità di salvarci... ma non in quella di condannarci... può bastare, grazie.
to run] Gli artisti di nicchia non hanno futuro alla Columbia. Se avessimo fatto fiasco, fine dei giochi e con ogni probabilità ci avrebbero rispedito nella foresta del Jersey del Sud. Dovevo realizzare un disco che incarnasse ciò che poco alla volta avevo dimostrato di saper fare. Qualcosa di epico e straordinario, qualcosa di mai sentito prima. Di strada ne avevo già fatta ma avevo ricominciato a fiutare la preda. Per il nuovo album avevo scritto una sola canzone. Si intitolava Born to run.

Il tempo passa e cresciamo tutti, ben sapendo che «it's only rock'n'roll»... e invece no. Dopo una vita trascorsa di fianco a un uomo che sera dopo sera ripete il suo miracolo solo per te, più che rock'n'roll questo sembra amore.

La matematica del mondo reale ci insegna che uno più uno fa due. La persona comune (e spesso anch'io) se ne accorge tutti i giorni. Va al lavoro, fa il suo dovere, paga le bollette e torna a casa. Uno più uno fa due. Il mondo gira così. Artisti, musicisti, imbroglioni, poeti, mistici e così via, al contrario, sono pagati peer sovvertire la matematica, per accendere il fuoco sfregando insieme due bastoncini. Una magia che riesce a tutti prima o poi nella vita, solo che è difficile da ripetere e facile da scordare. Quando il mondo dà il meglio di sé, quando ciascuno di noi dà il meglio di sé, quando la vita assume tutta la sua pienezza, è allora che uno più uno fa tre. È l'equazione essenziale dell'amore, dell'arte, del rock e dei gruppi rock. È la ragione per cui l'universo non sarà mai pienamente comprensibile, l'amore continuerà a estasiarci e disorientarci e il vero rock non morirà mai.

Le persone non vengono ai concerti per imparare, ma per ricordare qualcosa che già sanno e sentono nel profondo del cuore.

Spesso le vie dell'«arte» sono misteriose, e ciò che rende grandiosa un'opera può anche essere un suo punto debole, proprio come negli esseri umani.

Giovinezza e morte costituiscono da sempre un cocktail irresistibile per i creatori di miti che sono ancora fra noi. È il disgusto per se stessi, pericoloso e persino violento, è da tempo la miccia che accende il fuoco della trasformazione. Quando il «nuovo io» prende vita, le forze parallele del controllo e dell'incoscienza appaiono indissolubilmente legate. È il sale della vita. Spesso a rendere affascinante e divertente un artista è proprio l'alta tensione fra queste due forze, che però può anche rivelarsi fatale. Quanti di noi ne sono usciti logorati o se ne sono andati? Letteratura e musica documentano il culto della morte nel rock, ma cosa rimane dell'artista e delle sue canzoni? Una bella vita non vissuta, partner e figli in lutto, un buco per terra. L'uscita di scena gloriosa è solo un mucchio di stronzate.

«È più facile che un cammello passi per la cruna di una ago, che un ricco entri nel regno di Dio»: se era vero, ne sarebbe trascorso di tempo prima che varcassi le porte del Paradiso, ma nessun problema, c'era ancora tanto lavoro da fare qui sulla Terra. Ecco le premesse di «The Ghost of Tom Joad»: qual è il nostro compito nel breve tempo che abbiamo a disposizione?

Ci sono dischi che vivono di vita propria, e tu non puoi farci nulla. Uno di questi è «Born in the USA».

Ero ancora troppo ambizioso, spavaldo, affamato e consapevole del potere della musica per lasciare che il lavoro di una vita scivolasse nei nobili annali del rock. Quel giorno sarebbe arrivato, sicuro come la morte, le tasse e la fame di nuovi idoli, ma... non... ora, quanto meno finché rimanevo un urlatore rock gagliardo e pieno di psicosi, insomma, non ancora!

Per poter durare, i gruppi rock devono rendersi conto di un'essenziale realtà umana: la persona che hai accanto è più importante di quanto tu creda. Naturalmente, lo stesso vale per la persona che sta accanto a lui o a lei, cioè per te. Oppure: tutti devono spendere e spandere ed essere disperatamente al verde. Oppure: l'una e l'altra cosa.

[sugli avvenimenti dell'11 settembre 2001] Era ora di andare a prendere i bambini a scuola e tornare a casa da Patti. Mentre uscivo dal parcheggio del beach club, esitai prima di immettermi nel traffico di Ocean Boulevard. In quel momento una macchina proveniente dal ponte mi schizzò davanti con il finestrino abbassato. «Bruce, abbiamo bisogno di te!» gridò l'autista, che mi aveva riconosciuto. Capivo cosa intendeva dire, tuttavia...

Prima di tutto, scriviamo per noi stessi... per interpretare le esperienze e il mondo che ci circonda. È una delle soluzioni che ho trovato per prendermi cura della mia salute mentale. Storie, libri e film sono tentativi di far fronte a quel caos traumatizzante che è la vita.

Tutti gli artisti famosi si trovano a dover decidere se fare dischi o fare musica. A volte, se va bene, non c'è differenza.

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